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Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento individuale
Data: 27/11/2006
Giudice: Schiavone
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 124/06
Parti: Poste Italiane SpA / Antonio B. + 7
LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO COMPORTO – GIORNI NON LAVORATIVI: COMPUTABILITÀ – SUCCESSIVA IMPUTAZIONE A INFORTUNIO SUL LAVORO DI UN PERIODO RITENUTO DI MALATTIA: RILEVANZA – ILLEGITTIMITÀ DEL LICENZIAMENTO.


CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA 27 novembre 2006 n. 124/06 (Est. Schiavone)

Pasqualina G.. / Bormioli Luigi SpA

LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO COMPORTO – GIORNI NON LAVORATIVI: COMPUTABILITÀ – SUCCESSIVA IMPUTAZIONE A INFORTUNIO SUL LAVORO DI UN PERIODO RITENUTO DI MALATTIA: RILEVANZA – ILLEGITTIMITÀ DEL LICENZIAMENTO.

Art. 2110 Cod. Civ.

Art. 7 legge n. 300/70

Art. 53 CCNL Chimici (Vetro)

Una dipendente licenziata per superamento del periodo di comporto impugnava il recesso avanti al Tribunale di Parma, contestando in particolare il computo delle giornate ritenute utili ai fini del calcolo (373 giorni nell’ultimo triennio, quindi oltre i 360 previsti dalla contrattazione) sotto due profili: il primo, per avervi compreso anche i giorni non lavorativi (sabati, domeniche, festivi); per non aver considerato che, sia pure successivamente al licenziamento, l’INAIL aveva ritenuto ascrivibile ad infortunio sul lavoro un periodo di 17 giorni prima ritenuto di malattia comune. Il Tribunale respingeva la domanda e la lavoratrice proponeva appello, che veniva accolto dalla Corte d’Appello di Bologna.

Invero quanto al primo profilo i giudici di secondo grado condividono l’opinione del primo giudice, richiamando il principio giurisprudenziale secondo cui ove la disciplina contrattuale non contenga esplicite previsioni di diverso tenore, devono essere inclusi nel calcolo del periodo di comporto anche i giorni festivi e comunque non lavorativi (compresi quelli di fatto non lavorati, ad esempio per uno sciopero) che cadano durante il periodo di malattia indicato dal certificato medico, operando, in difetto di prova contraria (che è onere del lavoratore fornire), una presunzione di continuità, in quei giorni, dell’episodio morboso, con la precisazione che solo il ritorno in servizio rileverebbe come causa di cessazione della sospensione del rapporto, dovendosi provare la guarigione relativamente ai suddetti giorni e l’immediata ripresa della malattia nei giorni successivi (cfr. Cass. n. 21385/04; n. 13816/00; n. 1467/97; n. 7405/94). Dissente invece dal Tribunale la Corte rispetto alla circostanza che il periodo di 17 giorni era stato dapprima ritenuto di malattia comune dalle deliberazioni INPS ed INAIL, mentre solo successivamente – di ben dieci mesi – al licenziamento l’INAIL mutava il proprio orientamento assumendo come causati da infortunio sul lavoro i giorni che venivano in considerazione. Evidenziano infatti i giudici che, secondo la norma del contratto collettivo, il diritto alla conservazione del posto opera, “in caso di infortunio, fino alla guarigione clinica comprovata col rilascio del certificato medico definitivo da parte dell’istituto assicuratore”: la valutazione circa la riconducibilità dell’evento morboso ad un infortunio sul lavoro è rimessa dalle parti collettive all’esclusiva competenza dell’INAIL, “di tal che il riconoscimento dell’infortunio costituisce un dato oggettivo, attestato formalmente dall’Istituto competente e rispetto al quale non possono opporsi valutazioni extragiudiziarie di natura contraria ancorché assunte in buona fede da una delle parti del rapporto”. Dunque il riferimento contenuto - nella citata disposizione collettiva - ai certificati definitivi dell’INAIL comporta che eventuali difformi valutazioni espresse dall’Istituto e dallo stesso successivamente smentiti in sede di accertamento definitivo, a seguito di ricorso amministrativo del lavoratore, non possono essere assunti a sostegno di un provvedimento (il licenziamento) solo perché adottato sulla scorta di una incolpevole, ma pur sempre erronea, rappresentazione di una realtà che lo legittimava. È infatti solo del datore la determinazione soggettiva di affidarsi all’eventualità che una decisione, assunta in via provvisoria dall’Istituto, divenga definitiva: è quindi “l’assunzione del rischio sull’incerto esito dell’attività amministrativa a fondare la colpa datoriale”.

A sostegno del proprio ragionamento la Corte d’Appello cita un precedente esaminato dal Supremo Collegio in una problematica simile, concernente la dichiarazione di inidoneità fisica in esito alle procedure di cui all’art. 5 della legge n. 300/70: “Il datore di lavoro, nel momento in cui opta per l’immediato licenziamento del dipendente anziché chiedere, secondo le normali regole, l’accertamento della sopravvenuta impossibilità della prestazione, agisce evidentemente a suo rischio perché non può ignorare che quella valutazione espressa dall’INAIL (…) non è incontrovertibile (…) restando del tutto irrilevanti le ragioni che hanno indotto la società ad adottare il provvedimento impugnato” (Cass. n. 420/98; conf. Cass. n. 10944/98; n. 17780/05). Il licenziamento viene quindi dichiarato illegittimo e la società condannata alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento dei danni commisurati alla retribuzione globale di fatto omessa dal licenziamento alla reintegra, oltre interessi legali sulle somme rivalutate ed al pagamento delle spese legali per i due gradi del giudizio.